NUOVI LIBRI SUL CINEMA
STANLEY KUBRICK – ODISSEA NELL’INCIPIT
di Alessandro Carbone
Castel Negrino 2019
«Se può essere scritto può essere filmato», così parlò stanley kubrik. Il detto deve essere inteso alla lettera: ben 11 dei suoi 13 lungometraggi sono tratti da romanzi e racconti altrui. Non sarà necessario, quindi, interrogare alcun monolite nero per farci svelare il chi e cosa dovremmo vedere riflesso nella lucida superficie di celluloide davanti alla quale ci ha piazzato il genio del regista. Basterà scorrere le prime pagine, gli incipit, delle sue fonti letterarie – lionel white, humphrey cobb, valdimir, howard fast, nabokov, peter george, arthur clarke, anthony burges, william makeapeace thackeray, stephen king, gustav hasford, arthur schnitzler – per ritrovarci compagni di viaggio in una delle più straordinarie odissee che la storia del cinema ci abbia regalato.
DA CALIGARI AGLI ZOMBIE
a cura di Emanuela Martini
Il Castoro 2019
“Si può fare!”, esclamava il dottor Frankenstein leggendo gli appunti del nonno sulla possibilità scientifica di rianimare i morti in “Frankenstein Junior”, l’irresistibile omaggio di Mel Brooks ai gloriosi horror degli anni Trenta. Si può fare: ricostruire un uomo, rincorrere i vampiri, danzare con i fantasmi, lasciarsi sedurre da sinuose regine della notte, come ha fatto il cinema fin dalle origini, unica macchina capace di mostrare quello che nemmeno gli specchi riflettono. Considerato a lungo (fino alla metà degli anni Settanta) un genere sensazionalistico e minore, tanto da essere spesso relegato nella serie B delle compagnie di produzione, l’horror è sempre amato dagli spettatori, dei quali spesso esprime le tensioni, le ansie, le insofferenze. Questo libro ripercorre le tappe dell’horror classico: dagli incubi aguzzi della Repubblica di Weimar evocati nel 1920 da Robert Wiene con “Il gabinetto del dottor Caligari” ai voraci non morti resuscitati da George Romero nel 1969 con “La notte dei morti viventi”, primo, dirompente capitolo del New Horror. In mezzo, le creature classiche materializzate dalla Universal (Dracula, Frankenstein, l’Uomo Lupo, il Fantasma dell’Opera, la Mummia) e trent’anni dopo rese sensuali e sanguigne dalla Hammer Film; le tensioni sottili e i fantasmi, le donne pantera e i ladri di cadaveri evocati dalla Rko di Val Lewton con il lavoro di Jacques Tourneur, Robert Wise e Mark Robson; le allucinazioni macabre con cui Roger Corman traduce sullo schermo Edgar Allan Poe; le magnifiche streghe e vampire della via italiana al gotico di Mario Bava.
GILLO PONTECORVO – IL SOLE SORGE ANCORA
a cura di Fabio Francione
Mimesis 2019
Noto
come regista cinematografi co dalla grande inventiva, ma dalla scarsa
prolifi cità – nel giro di un trentennio di attività diresse solo
cinque film, la maggior parte oggi considerati leggendari, un
mediometraggio e un pugno di documentari –, Gillo Pontecorvo
intraprese all’indomani della fine del secondo conflitto mondiale
la carriera di giornalista, dapprima inviando corrispondenze da
Parigi, dov’era tornato a vivere, e successivamente assumendo la
carica di direttore di “Pattuglia”, la più popolare delle
riviste giovanili del Partito Comunista. Quest’antologia raccoglie
di quest’ultima sua esperienza gli editoriali, gli articoli e le
interviste redatti tra il 1947 e il 1950 sia come collaboratore e,
successivamente, come direttore.
In appendice quattro
interviste a Pablo Picasso, Marlene Dietrich, René Clair e Jean
Frédéric Joliot-Curie, pubblicate nel 1947 da Pontecorvo su
“Omnibus”, “Milano- Sera” e “La Repubblica”.
FRANCESCO ROSI – IL CINEMA E OLTRE
a cura di Nicola Pasqualicchio e Alberto Scandola
Mimesis 2019
Racchiusa nell’angusta etichetta del realismo, contrapposto in più occasioni a un non meglio precisato «cinema di invenzione», la poetica di Francesco Rosi rinvia a una storia sola: quella di un Paese, l’Italia del secondo dopoguerra, segnato da crimini, misfatti e misteri ancora oggi indecifrabili. Film come Le mani sulla città, Salvatore Giuliano, Il caso Mattei e Cadaveri eccellenti appaiono ancora oggi esempi insuperati di un cinema al contempo poetico e politico, dove la ricerca espressiva si coniuga con l’impegno civile.
NON HO NIENTE DA NASCONDERE
di Michael Hanecke
Il Saggiatore 2019
Due strade parallele, dritte e morbide come la serenità solare che le avvolge. Una macchina avanza piano con una barchetta a rimorchio, mentre in sottofondo si innalzano le voci di Jussi Björling e Renata Tebaldi che intonano Tu qui santuzza. Vediamo mani che scelgono cd, sentiamo risate: una coppia sta giocando a chi indovina la canzone; il figlio, sul sedile dietro, è chiamato a fare da garante. Torniamo a vedere la macchina dall’alto; poi la telecamera ci mostra i volti della famiglia felice, in procinto di raggiungere la casa delle vacanze. Ma il canto di Beniamino Gigli si strappa, diventando l’angosciante Bonehead dei Naked City, che mitraglia lo spettatore accompagnando l’arrivo di titoli di testa rossi come il bagno di sangue verso il quale gli inconsapevoli, sorridenti passeggeri sono diretti. Un presagio crudele, rivelato solo a chi è in sala, impotente. Poche sequenze come l’inizio di Funny Games sanno raccontare in modo emblematico l’arte di Michael Haneke, uno dei registi e sceneggiatori più originali degli ultimi trent’anni. Non ho niente da nascondere è il suo più fedele e intimo autoritratto: solitamente laconico fino all’estremo, Haneke sceglie per la prima volta di raccontarsi in una lunga intervista che ripercorre tutta la sua esistenza e la sua carriera, dall’adolescenza nella periferica Wiener Neustadt alla tormentata vocazione religiosa, dai complessi rapporti con attrici e attori alla maniacale cura del sonoro, dai primi lavori per la televisione austriaca a Happy End, passando per i premi a Cannes e per l’Oscar ricevuto con Amour. Haneke racconta la sua vita con una franchezza violenta, svelando i segreti di una consapevole e ostinata ricerca di verità sugli uomini attraverso l’artificio di immagini e suoni. Non ho niente da nascondere è un’immersione in un microcosmo di forze brutali e sotterranee, in grado di frantumare la gelida superficie della vita quotidiana e lasciare lo spettatore faccia a faccia con la propria nuda miseria.
Michael Haneke è un regista e sceneggiatore austriaco. Ha ricevuto numerosi premi, tra cui la Palma d’oro a Cannes con Il nastro bianco (2009) e Amour (2012), vincitore anche dell’Oscar per il miglior film straniero.
OMOSESSUALITÀ E CINEMA ITALIANO
dalla caduta del fascismo agli anni di piombo
di Mauro Giori
UTET Universitaria 2019
A partire da una vasta ricerca d’archivio e dall’esame di oltre 600 film, il volume ricostruisce per la prima volta i rapporti tra omosessualità e cinema italiano tra gli anni Quaranta e gli anni Settanta, nella convinzione che abbiano svolto un ruolo di primo piano nel quadro della battaglia cruciale che si è giocata intorno alla sessualità coinvolgendo società, politica e gran parte dell’industria culturale nazionale. Le rappresentazioni d’autore e quelle popolari, le negoziazioni tra intenzioni e saperi differenti di cui esse sono il risultato, la gestione delle posizioni nell’industria, i rapporti con censura e magistratura, il divismo, la critica e le prassi del pubblico (anche omosessuale) sono messi in relazione al mutare dei contesti intrecciando i materiali più diversi, dai rotocalchi alla letteratura, dalle interrogazioni parlamentari ai documenti riservati della burocrazia statale, dai quotidiani di partito ai fumetti pornografici, dalle sentenze di tribunale ai fogli dei primi movimenti omosessuali.
Quella che emerge è una storia culturale insospettabilmente ricca in cui timori e avversioni si accompagnano costantemente a piaceri e complicità inconfessabili.