NOVITÀ EDITORIALI SUL CINEMA AL KNULP (APRILE 2024)
Dialoghi sulla fede
di Martin Scorsese
euro 16,00
La Nave di Teseo (marzo 2024)
Il 3 marzo 2016, a New York, padre Antonio Spadaro incontra a casa sua Martin Scorsese per parlare di “Silence”, il film che il regista italoamericano ha dedicato alle persecuzioni dei gesuiti in Giappone, e del suo rapporto con la fede. Quella prima chiacchierata, foriera di stimoli e suggestioni per entrambi, dà il via a un dialogo che prosegue ancora oggi. Un discorso che, attraverso vari incontri, affronta i temi cari a Scorsese: dall’infanzia in una New York molto diversa da quella che conosciamo ora fino ad arrivare al recente e bellissimo “Killers of the Flower Moon”, passando per profonde riflessioni sulla fede e la grazia che, in modo più o meno velato, traspaiono dalle sue opere. Tra i frutti del dialogo, anche lo storico incontro tra papa Francesco e Scorsese e la scrittura, da parte di quest’ultimo, di una prima sceneggiatura per un film dedicato alla vita di Gesù, per rispondere a un appello del Santo Padre agli artisti. In queste pagine, Spadaro e Scorsese ripercorrono la carriera del regista premio Oscar, i suoi pensieri sulla fede, le paure e le ispirazioni, donando al lettore un ritratto nuovo e inedito di uno dei principali esponenti contemporanei della settima arte.
Cleopatra e il serpente
La bellezza come arma del patriarcato
di Nicola Fano
euro 19,00
Elliot(marzo 2024)
Elena di Troia, Circe, Cleopatra, Ofelia, Paolina Borghese, Sarah Bernhardt, Dora Maar, Marilyn Monroe e molte altre: donne che hanno in comune l’aura mitica con cui sono state ammantate dagli uomini per via della loro bellezza. Donne-simbolo che hanno lasciato un segno nell’arte, nel teatro, nel cinema, nella letteratura, un segno sempre mediato però dall’immaginazione maschile. “Cleopatra e il serpente” racconta con approccio critico e liberatorio le storie, le leggende e l’iconografia non soltanto di molte di loro ma anche di quelle donne che hanno tracciato nel tempo nuove vie alla ricerca di rappresentazioni lontane dagli stereotipi.
Cinema western
di Alberto Crespi
Euro 10,00
Treccani (marzo 2024)
Il western è il cinema americano per eccellenza. Ed è l’unico genere del grande schermo a essere insieme intrattenimento popolare, territorio dell’immaginario e narrazione di un’epopea basata su fatti storici (sebbene distorti o mitizzati): è il viaggio verso il West, il rapporto con i nativi, il conflitto culturale e politico fra Nord e Sud che sfociò nella Guerra civile; è l’arrivo della “civiltà” nella wilderness, il coraggio dei singoli e la creazione delle comunità di coloni; è l’amicizia virile, i matrimoni interetnici e il sogno del melting pot; è la scoperta del paesaggio, dalle grandi praterie ai deserti del Sud-Ovest e alle Montagne Rocciose; è la guerra, l’avventura, l’amore, la morte. Partendo da Griffith e Ince, passando per Ford, Hawks e Leone, e arrivando fino a Tarantino, Alberto Crespi ricostruisce la storia di questo (spesso mistificatorio) autoritratto che il “Nuovo Mondo” ha costruito e su cui si basa il fascino che ha esercitato su intere generazioni.
Quando le onde se ne vanno
Conversazioni sul cinema
di Lav Diaz
euro 24,00
Il Saggiatore (marzo 2024)
C’è un regista che è da anni oggetto di un culto sotterraneo: i suoi estimatori si nascondono ovunque, come i custodi di una liturgia segreta. Nonostante abbia vinto il festival di Locarno e il Leone d’oro a Venezia, le sue opere, a causa del loro chilometrico minutaggio, vengono proiettate in poche sale; questo però non scoraggia i suoi amanti, che le cercano ossessivamente, come appuntamenti con qualcosa di più vasto della loro stessa esperienza. È un cineasta filippino, si chiama Lav Diaz e con i suoi film è riuscito a raccontare il tempo che si fa materia. Il suo cinema è considerato una forma di meditazione: uno spazio in cui il tempo della realtà e il tempo del racconto coincidono, saldandosi per l’intera durata di ogni fotogramma. Così, in uno dei suoi film più emblematici, “Evolution of a Filipino Family”, la sequenza in cui un personaggio muore dissanguato in una Manila deserta dura 21 minuti; l’intero film, 654 minuti. “From What is Before” ne dura 338. “A Tale of Filipino Violence”, invece, 416. Tempo, rappresentazione, realtà: quella di Lav Diaz è una sorta di trasformazione alchemica di questi tre elementi. Un uomo muore per finta e chi lo guarda sullo schermo si trova a soffrire veramente, senza più filtri a separare i due eventi. Il dolore del singolo si trasforma nel dolore del popolo filippino e così in quello dell’umanità intera. “Quando le onde se ne vanno” è una bussola per orientarsi nello sconfinato atlante della filmografia di Lav Diaz: otto interviste nell’arco di undici anni che mettono in fila le sue opere e il suo pensiero attorno ad arte e storia, nouvelle vague e tradizione asiatica, i traumi di una collettività e la violenza dell’esistere. Un invito a immergersi nell’immaginario di questo maestro contemporaneo, capace di un interpretare come nessun altro le contraddizioni che agitano la nostra anima e la nostra epoca.
Shooting back
Il documentario e le guerre del nuovo millennio
di Samuel Antichi
euro 18,00
Meltemi (marzo 2024)
Nel nuovo millennio, in piena era digitale e con lo svilupparsi di nuove tecnologie del visibile, sia mediali sia belliche, gli immaginari di guerra sono cambiati radicalmente. Non c’è guerra senza rappresentazione e il cinema – oltre a documentare, raccontare e mostrare il conflitto – è divenuto strumento di percezione e di distruzione dal momento che le tecnologie mediali sono state assorbite e persino utilizzate dall’industria bellica. Se da una parte il futuro che si prospetta davanti a noi sembra quello di una guerra virtualizzata, un’esperienza anestetizzata provocata dalla visione elettronica dei satelliti spia, dei droni, delle bombe intelligenti e dei dispositivi di sorveglianza, dall’altra parte è certamente vero che la svolta connettiva e l’uso personale della camera, indirizzandosi verso un aspetto comunicativo e sensoriale dell’esperienza, riconfigurano ulteriormente la memorialistica di guerra e la forma testimoniale. Facendo riferimento al quadro teorico di Trauma Studies, Memory Studies e Film and Media Studies, il volume si pone l’obiettivo di esplorare le molteplici modalità con cui il cinema documentario riflette su come l’evoluzione della tecnica, dell’immaginario, dei suoi enunciati, dei sistemi di visualizzazione e di messa in scena si siano ampiamente confrontati con il radicale mutamento della rappresentazione e mediatizzazione delle guerre nel nuovo millennio. Entrando in relazione dialogica con la storia, il cinema documentario converge in maniera dinamica, diventando uno strumento conoscitivo capace di rileggere e riformulare il passato traumatico, costruendo una memoria per il futuro.
Grandi magazzini
Il cinema italiano e l’immaginario dei consumi (1950-1973)
a cura di David Bruni e Mattia Cinquegrani
euro 19,00
Marsilio (marzo 2024)
Attraverso una serie di casi di studio esemplari e privilegiando la prospettiva dell’analisi filmica il volume intende esplorare il rapporto tra cinema e consumi in Italia nel periodo compreso tra il 1950 e il 1973, noto come “l’età d’oro del capitalismo”. Al centro dell’attenzione vi è il ruolo svolto dal nostro cinema nel conferire ai prodotti commerciali un’importanza e un peso fino ad allora sconosciuti sul piano figurativo e nel tematizzare il modo in cui quegli stessi prodotti incidono sull’esistenza degli italiani, favorendo l’acquisizione di abitudini e di stili di vita che contribuiscono a riconfigurare in misura significativa gli orizzonti dell’esperienza quotidiana. I differenti saggi ruotano attorno alla rappresentazione offerta dei beni e degli ambiti di consumo quali gli elettrodomestici, i libri, la moda e le vacanze ma considerano anche specifiche categorie di consumo e di consumatori come il tempo libero, il sesso e i giovani.
Billy Wilder
È il cinema, bellezza!
a cura di Gabriele Rizza
euro 12,00
Clichy (febbraio 2024)
A novant’anni dalla direzione del suo primo film e dal suo sbarco a Hollywood, un omaggio al sette volte Premio Oscar sceneggiatore e regista di pellicole come Viale del tramonto, A qualcuno piace caldo e L’appartamento L’austro-ungarico Billy Wilder, già giornalista fra Vienna e Berlino, soggettista e sceneggiatore nella Germania pre-hitleriana, stacca il biglietto per l’America nel 1934: il sogno hollywoodiano lo accoglie, e non stecca un colpo. I sette premi Oscar in bacheca ne certificano la statura. Per Wilder lo stile è una questione di «touch» (come lo sarà per il collega Lubitsch), la classicità una rete di belle trame dove affondare lo sguardo, i generi una panoramica di incroci, sfumature e ombreggiature, dove calare le pedine di un gioco che conosce le regole ma dialetticamente le incrina. Le scheggia. Un gioco che profuma di libero arbitrio, inventiva, ironia, frescura, brillantezza, malinconia, trauma, farsa e tragedia, innocenza e cinismo, una dissolta emergenza della vita «proiettata» su una tavolozza che sfugge a qualsiasi organica sistemazione critica.