LIBRI SUL CINEMA
Alcuni titoli che puoi trovare nella nostra fornita libreria di cinema:
ALLA RICERCA DELLA SALA
Con una passione in comune, due giovani cinefili partono per un’avventura mai realizzata: visitare in cinquanta giorni alcuni dei cinema più innovativi d’Italia e raccogliere su di un sito internet le (loro) buone prassi. L’obiettivo? Esplorare la ricchezza delle sale indipendenti italiane all’epoca della rivoluzione digitale dentro e fuori la sala. 5.400 km, 48 cinema, 38 città in 17 regioni. Il libro ripercorre le tappe del viaggio, gli incontri, le riflessioni (ma anche i sogni) per realizzare un nuovo modo di essere sala cinematografica: come coinvolgere il pubblico più giovane? Come usare le nuove tecnologie in sala? Quale legame precostituire col pubblico? Quali spazi creare e come arredarli per vincere la sfida con le catene multiplex? La sala cinematografica del domani? Radicata nel territorio e aperta al mondo, permeabile – oltre che alle tecnologie e ai nuovi strumenti di comunicazione – ai cambiamenti del pubblico. Un angolo delle idee in postfazione raccoglie le iniziative più ragionali e innovative incontrate.
AVANTI O POPOLO
L’autore Carlo Carotti, cinefilo e studioso di storia contemporanea, racconta e analizza come le complesse vicende dei due principali partiti della Sinistra italiana – il Partito socialista e il Partito comunista – , intrecciate alle storie di contadini, operai, intellettuali, militanti e politici, siano state interpretate dal cinema e dai suoi registi grandi, minori e minimi. Fornito di un apparato critico di primo piano, il libro di Carotti offre informazioni precise e dettagliate su una produzione cinematografica vasta e artisticamente diseguale, non sempre facile da recuperare e fare conoscere.
BANDITI A ORGOSOLO
“Banditi a Orgosolo” è un film girato in Barbagia, nel cuore della Sardegna agli inizi degli anni Sessanta. Un lavoro lontano dai moduli produttivi tradizionali, realizzato da una troupe ridottissima e interpretato da attori non professionisti. Premiato come miglior esordio al festival di Venezia nel 1961, da subito ottiene riconoscimenti in tutto il mondo: a New York (1962) viene premiato perché è «un’opera creativa di eccezionale valore nel campo della cinematografia documentaria» e a Boston il premio per la miglior regia gli viene attribuito «per la qualità del risultato nella ricerca creativa col mezzo cinematografico». Martin Scorsese molti anni dopo l’uscita lo definirà un capolavoro indiscusso, ma ancora nel 1963 il critico di una rivista della Cuba di Castro e Che Guevara, recensendo il film scrive: «Se mi chiedessero quale regista sarebbe più utile per Cuba io direi Vittorio De Seta perché dimostra che il cinema è un’arma importante nella lotta per il futuro dell’umanità». Questo libro, progettato con lo stesso Vittorio De Seta quando era vivo, raccoglie i materiali che documentano la realizzazione di Banditi a Orgosolo – appunti, fotografie, la sceneggiatura desunta – introdotti da un saggio che analizza la pellicola e ripercorre la genesi del film e la sua ricezione.
FORMALISTI RUSSI NEL CINEMA
Negli anni venti del secolo scorso i formalisti russi inaugurarono un approccio al cinema che ne valorizzava, in particolare, il carattere di autentica “scrittura” audiovisiva. Di quell’approccio oggi si fanno apprezzare, oltre all’originale afferenza al vasto territorio di una “antropologia dell’immagine e dei media”, il notevole spessore teorico e la sorprendente attualità nel contesto della rivoluzione digitale. Alla traduzione di alcuni testi classici riuniti nel volume che rese note le tesi formaliste sul cinema – Poetika Kino (Poetica del cinema, 1927) – questa raccolta aggiunge i contributi di tre autori – Roman Jakobson, Jan Mukar ?ovský, Jurij Lotman – che ripresero e approfondirono i temi portanti di quella linea di ricerca.
DA CHAPLIN A LOACH
Dall’uomo massa di “Tempi moderni” (1936) all’uomo flessibile di “Paul, Mick e gli altri” (2001), passando per “La classe operaia va in paradiso” (1971) e tracciando una storia del cinema e della psicologia dell’individuo coinvolto nella società industriale, il primo saggio che analizza la condizione dell’uomo contemporaneo attraverso gli schermi del lavoro. Le nevrosi, lo stress, le fughe, le reazioni e gli spazi di liberazione attraverso una trattazione accattivante e puntuale.
IL VANGELO SECONDO BERGMAN
Nel 1974, la Rai chiese a Bergman di realizzare un film su Gesù. Il progetto non vide mai la luce perché i dirigenti Rai, dopo aver letto il soggetto di una ventina di pagine presentato da Bergman, lo rifiutarono perché “troppo protestante”. La realizzazione dell’opera venne così affidata a Zeffirelli. Per molto tempo non si seppe più nulla del soggetto di Bergman. Recentemente il testo integrale è stato ritrovato negli archivi Rai e viene presentato così da Bergman: “Trattamento di un film per la televisione sulla morte e resurrezione di Gesù e sulle persone che presero parte a questi eventi”. Si tratta di una rilettura originalissima della vicenda di Cristo, tutta incentrata sulle testimonianze delle figure che gli sono state vicino. Dall’intreccio di queste diverse voci il grande regista svedese costruisce una figura inedita di Cristo. Per la prima volta il testo viene presentato in Italia in forma integrale con testo originale a fronte.
LA SIGNORA DI SHANGHAI
Le icone femminili del cinema cinese e il loro rapporto con le trasformazioni, i valori, le influenze, i sogni della società: dalle femme fatale ricalcate sui modelli occidentali alle eroine votate a Mao e alla nazione; dalle dive di Hong Kong degli anni cinquanta alle nuove stelle come Gong Li e Zhang Ziyi, entrate a pieno titolo nell’immaginario mondiale.
LA REALTA’ ATTRAVERSO LO SGUARDO DI MICHELANGELO ANTONIONI
La presente tesi cerca di individuare, all’interno della fenomenologia percettiva dello spettatore cinematografico, una permanenza attiva di residui filmici, ovvero tracce simboliche, consce e inconsce, che ne condizionano la percezione della realtà circostante. Inserendo lo spettatore in un circolo creativo, nel quale svolgono parte attiva le sue esperienze regresse e le sue costruzioni cognitive, l’opera filmica assume un valore dinamico e cerca, all’interno dell’atmosfera cinematografica, di stimolare un coinvolgimento creativo del fruitore. Analizzando, anche prettamente dal punto di vista della tecnica, i tre film della maturità di Michelangelo Antonioni si giunge a individuarne le caratteristiche intrinseche che ne esaltano l’interazione con lo spettatore e permettono l’individuazione di una complessa struttura espressiva che ne accentua l’attualità.
MARTIN SCORSESE. LE FORZE PRIMIGENIE DELL’AMERICA
Forse Martin Scorsese non è un regista-letterato, ma è certo che nel Pantheon dei suoi riferimenti risiedono molti immortali. Shakespeare e Céline lasciano tracce, segrete ma profonde, nei suoi film. Herbert Asbury, alle origini del gangsterismo e i noir di Raymond Chandler lo guidano sulle “vie del malvivente” (“Mean Street”). Il Joyce di “Dedalus”, Sushaku Endo, Nikos Kazantzakis riforniscono l’immaginario dei lungometraggi a sfondo spirituale. Le “Memorie dal sottosuolo” di Dostoevskij, il Nietzsche de “La gaia scienza” e dello “Zarathustra” e Thomas Wolfe il solitario si nascondono dietro le quinte di “Taxi driver” e di “Cape Fear”. Henry Miller è esplicitamente citato in “After hours”. I testi di alcune canzoni dei Rolling Stones e di Bob Dylan fanno da controcanto alle scelte formali e sostanziali della sua intera filmografia. Le strisce di Otto Soglow ispirano i suoi “storyboard”, esattamente come i disegni di Selznick offrono lo spunto per le immaginifiche inquadrature di “Hugo Cabret”.
RECITO DUNQUE SONO
Gian Maria Volonté non è un attore come gli altri. Che incarni figure storiche antiche e recenti o identità frutto della creatività degli autori o della sua stessa inventiva, le sue metamorfosi, per lo spettatore, non si concretizzano in una semplice partecipazione estetica, ma in una vera e propria profonda esperienza emotiva interiore. Alfiere coraggioso del cinema politico in un’epoca di grandi conflitti sociali, Volonté ha percorso la sua strada accompagnato da uno stuolo di registi che, insieme a lui, hanno reso grande la cinematografia italiana in patria e all’estero. Il suo approccio alla recitazione è simile a quello dello scultore che, di fronte al marmo informe, ha un solo modo per dargli identità: «scordarsi di sé» e farsi marmo egli stesso. Egli non si cala nel personaggio, lo diventa. Anzi, lo è. Nella recitazione, trova quindi una nuova forma del suo essere. Recito, dunque sono. In questo appassionato saggio biografico si narra la sua avventura professionale ed esistenziale attraverso notizie rare sepolte negli archivi, la completa filmografia, testimonianze esclusive delle persone che lo hanno conosciuto e amato, sue stesse dichiarazioni, un elenco narrato dei progetti mai avveratisi, e infine numerose immagini in gran parte inedite.
TUTTE LE ORE FERISCONO, L’ULTIMA UCCIDE!
Tratto dal romanzo di José Giovanni, il film, a detta dello stesso regista, diventa la sua opera più personale e, come sottolinea Alessandro Baratti, Melville riesce a deflagrare l’impronta letteraria portando all’esagerazione le pagine del libro. Scrive Baratti: “Una semplice frase nel libro come «Arrivarono sul posto» ha dato sette minuti e mezzo di film”, da questi piccoli indizi si evince l’immenso controllo di un autore che non fa sfuggire certo la sua presenza e il peso della sua innegabile poetica, meditando, allungando e portando all’estremo la sua stessa creazione. Tutte le ore feriscono, l’ultima uccide! è un libro che riesce a dare attraverso l’analisi di un film uno sguardo profondo all’intera opera di Jean-Pierre Melville, un altro tassello necessario per rendere ancora più eterna l’autoproclamata immortalità. “Niente di straordinario nel mio incontro con Tutte le ore feriscono… l’ultima uccide, tutt’al più qualche tratto di singolarità” scrive l’autore nell’introduzione regalandoci però un documento prezioso.
FEDELE A ME STESSO
Clint Eastwood è l’unica star del cinema americano che abbia modellato la propria carriera attraverso film da lui prodotti e spesso diretti e/o recitati. Ed è anche uno dei registi in attività più prolifici, avendo all’attivo quasi quaranta lungometraggi, dall’esordio dietro la macchina da presa di “Brivido nella notte” al recente “The Mule”, passando per autentici capolavori come “Million Bollar Baby”, “Gli spietati”, “Mystic River”, “Gran Torino”. Se come attore la sua fama rimane legata soprattutto ai ruoli del pistolero senza nome nei film di Sergio Leone e al personaggio dell’ispettore Harry «la carogna» Callaghan, come regista ha saputo muoversi all’interno del sistema hollywoodiano rispettandone le-tradizioni ma rifiutandosi di aderire alle mode culturali ed estetiche, esplorando in chiave personale e spesso problematica una grande varietà di temi, dalla vita d’artista alla natura dell’eroismo, dal culto della violenza virile alla fragilità dei sentimenti, dal razzismo insito nella società americana all’etica dell’individualismo. Le interviste qui raccolte coprono quattro decenni della carriera di Eastwood come regista, concentrandosi tanto sulle sue prassi concrete quanto sulla sua poetica e filosofia. E forniscono il ritratto completo e sfaccettato di un vero artista, popolare e raffinato al tempo stesso.
L’OCCHIO DEL REGISTA
Quello del regista è uno dei mestieri più complessi e affascinanti del mondo dell’arte, pericolosamente sospeso tra la cura del dettaglio e la visione d’insieme, tra la libertà della creazione individuale e le limitazioni del lavoro collettivo. Un mestiere in cui non esistono regole scritte, e per comprendere il quale non si può dunque prescindere dall’esperienza dei grandi maestri. In questo volume Laurent Tirard, critico cinematografico e regista lui stesso, ha raccolto le confessioni, le rivelazioni, i consigli pratici di venticinque tra i più grandi registi contemporanei, offrendo al lettore altrettante «lezioni di cinema». L’approccio alla sceneggiatura, il rapporto con gli attori, il posizionamento della macchina da presa, il montaggio: ogni regista racconta le sue predilezioni e i motivi delle proprie scelte artistiche, svelando con insospettabile candore tutti i segreti che si nascondono dietro la creazione di un grande film. L’occhio del regista è una guida indispensabile per chi vuole addentrarsi, da neofita o da semplice curioso, nel mondo della regia cinematografica.
I MAESTRI DELLA LUCE
Che cosa sarebbe stato “Il padrino” senza i chiaroscuri e le luci notturne di Gordon Willis? Che cosa sarebbe stato “Apocalypse Now” senza le esplosioni di luci e fiamme orchestrate da Vittorio Storaro? Che cosa sarebbe stato l’inferno del “Cacciatore” di Cimino senza la maestosa concertazione di colori di Vilmos Zsigmond? Che cosa sarebbe stato “Toro scatenato” senza il superbo bianco e nero di Michael Chapman? Si potrebbe procedere all’infinito: i quindici direttori della fotografia che si raccontano in questo libro hanno infatti determinato come pochi altri l’immaginario filmico di un’autentica età dell’oro, nella quale il cinema d’autore si è imposto a Hollywood e nel mondo intero. Ognuno degli intervistati racconta il proprio mestiere, i mille modi con i quali conferire a ciascun film un aspetto visivo inconfondibile, le loro imprese più difficili, tecnicamente e non solo, i rapporti con i grandi registi con cui hanno lavorato. E ricostruiscono così una delle fasi più creative nella storia del cinema, muovendosi tra la Nouvelle Vague francese e il film d’autore italiano; tra la nuova Hollywood degli Scorsese e dei Coppola e i maestri del cinema di genere.
CINEMA E ARCHITETTURA
Da una serie di esperienze al confine fra cinema e architettura, si nota il crescente interesse di figure professionali legate al progetto – designer, architetti, urbanisti – al cinema come fonte. Si tratta di un rinnovato stupore per la composita ricchezza dell’opera film quale luogo di svelamento dell’abitare: un riconoscimento fatale, in grado di superare la soglia del dicibile-disegnabile per attingere a inusitate prospettive fenomenologiche. L’operazione compiuta dal film sull’architettura riguarda allora un processo di restauro, un momento di riconoscimento, in una doppia polarità, storica ed estetica. Ricreata ogni volta che viene sperimentata esteticamente, l’onnipolitaneità dell’appartenenza spettatoriale sfida l’interpretazione canonica dell’architettura, sottraendo all’oblio e alla dimenticanza i resti del passato (della modernità): emersa ‘a nuova luce’ col processo della messa in film, l’architettura sveste l’alone semantico della sua stessa esistenza mitica, l’insieme delle appartenenze ideali, i mondi possibili arredati dal benevolo contratto di ‘verità’ dell’ideologia funzionalista.
IL VAMPIRO, IL MOSTRO, IL FOLLE
Tanto
in “Nosferatu”, di Werner Herzog, quanto in “The
Elephant Man”, di David Lynch, e in “Nostalghia”, di
Andrej Tarkovskij, si mette in scena l’incontro con un Altro che è
lo specchio non voluto di se stessi e dell’ambiente in cui si vive.
Il vampiro, il mostro e il folle diventano figure emblematiche per
riflettere sulla complessità delle dinamiche che l’incontro con il
deviante, con il diverso, produce nelle contemporanee società
omologate e massificate.